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L'intervista. Don Ettore Cannavera ci parla della sua attività.

A margine dell'incontro con i giovani ci siamo fermati con don Ettore che ci ha parlato della sua vita e della sua attività.



Cos'ha fatto nella sua vita?
Quando sono diventato sacerdote, 50 anni fa, ho iniziato a fare il parroco in una chiesa come tutti i preti. Dopo 2 anni ho capito che forse avrei fatto meglio il mio servizio occupandomi della categoria dei più bisognosi, allora sono subito andato a fare i cappellano in carcere, e a conoscere i ragazzi che lì si trovano. Dopo due-tre anni ho costruito, in un terreno che avevo ereditato da mio padre, situato su una collina, una comunità molto grande, per accogliere ragazzi che possono scontare la pena fuori dal carcere. Il mio vantaggio è che li conosco dentro, li faccio riflettere, capire. “Vuoi cambiare vita?”, gli chiedo.
Perché se stai in carcere, 4-5 anni, esci e sei etichettato come delinquente; se stai in comunità riprendi gli studi, gli sport, sei completamente inserito nella società. Fino a oggi sono passati 110 ragazzi, di cui solo 4 sono tornati nel mondo della devianza; il resto, anche condannati per reati molto gravi, come l'omicidio, stanno facendo una vita regolarissima.
Questo vuol dire che i ragazzi a cui si risponde già nell'adolescenza, ai loro bisogni, che hanno espresso in malo modo, possono essere recuperati, ecco perché io combatto affinché i ragazzi non vadano in carcere, ma vengano nelle nostre comunità, che stanno sorgendo, dove possono riprendere la scuola, svolgere attività lavorative, fare corsi professionali, ma sopratutto riprendere legami affettivi.
Questa è la mia sfida.
Se invece li teniamo in carcere, escono che sono delinquenti e la gente non gli accoglie più.

Com'è la vita in carcere?
In carcere si vive con ragazzi che hanno gli stessi problemi, parlano tutti dei loro reati: il carcere è negativo perché si mettono insieme persone con gli stessi problemi, dove ciascuno tende a essere più “togo” dell'altro e cerca di esserlo facendo più cose negative.
Quindi è come mettere insieme tutte le mele marce, è chiaro che si contagino e peggiorino. Invece, se la mela marcia la metto insieme alle buone, cambia lei. In comunità ci sono persone che non hanno commesso reati, come educatori e ragazzi che vogliono cambiare.
Il carcere non aiuta, ci devono stare i grandi delinquenti, ma non i ragazzi, perché non sono ancora criminali, ma possono diventarlo e io combatto perché a chi ha sbagliato venga data un'altra risposta educativa, contenitiva, venire in comunità e riprendere in mano la propria vita: è la mia esperienza da ormai 25 anni.

Si rende conto che il suo messaggio è in esatta controtendenza del messaggio generale?
Si, infatti il problema è cambiare la nostra mentalità, l'80% della gente dopo quello che è successo dice solo: galera, galera. Ma tanto quando esce, hai solo un delinquente in più.
Dobbiamo comunicare agli adulti che la soluzione non è il carcere.

                                                                                 Stefano Congiu, Giulia Fodde, Gaia Licheri

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